Grande Giù

A cavallo con Grande Giù

Il racconto di Sofia

 

Potrei associare alla parola equitazione tante parole maestose e bellissime, ma in questo caso quella che la descrive sotto tutti i punti di vista è salvezza.

Sono qui per raccontare la nascita del mio sfrenato amore per questo meraviglioso mondo di fatiche compensate da altrettante soddisfazioni.

Iniziò tutto dal brutto periodo della mia dipendenza dall’odiosa malattia, un tira e molla da cui pensavo di non poter uscire. Avete presente quella sensazione di vuoto? Quel continuo cercare di colmare una mancanza che può portare conseguenze pericolose…Ecco è quello che ho vissuto io per ben tre anni infiniti e strazianti. L’immagine allo specchio della ragazza che conoscevo io era diversa: oltre a vederla ingrassata era più cupa e senza espressione. L’ossessione per la mia visione sulle piattaforme social dove ci si può vedere riflessi era fuori controllo. Ogni volta mi vedevo più grossa, più invadente, mi odiavo e il volume che occupavo era orribilmente sbagliato nella mia testa. Il cibo, che era il momento più bello e caloroso della giornata, era diventato uno schiaffo in faccia alla sola vista; le mani e le gambe iniziavano in simbiosi un tremolio infastidente, la gola si stringeva e si arrotolava su se stessa fino a far male e la testa… beh la testa iniziava a dire parole all’epoca a me sensate, per esempio che determinati pasti non potevo permettermeli, che tutte le calorie che mettevo in corpo dovevano assolutamente essere bruciate.

Voi potrete dire che assolutamente non avevano un filo logico, che era ovvio che dicessero menzogne e che avrei dovuto sapere che più si ascolta ciò e più si cade a fondo, ma io ne ero convinta. Le ascoltavo come un cane addestrato ascolta il proprio padrone, come i sudditi ascoltavano il sovrano, non riuscivo a smettere di sentire quei sussurri urlati nella mia fragile e fredda mente. Più il tempo passava più riuscivo a non mangiare; era diventato tutto un no grazie magari lo mangio dopo, no no ho già mangiato oppure no non ho tanta fame ora. Ero comandata dalle mie infondate convinzioni, ormai la mia immagine riflessa era diventata lunga, magra e spigolosa per le meravigliose ossa che spuntavano dal mio bacino e dalle mie spalle. Le costole mi rendevano schiena e petto un insieme di piccole onde. La forza per fare semplicemente due passi era sparita, le occhiaie nere si facevano sempre più spazio nel mio viso spento e i miei occhi erano distrutti dal continuo passaggio di lacrime nate dal dolore affamato. La mia vita era composta da scuola, casa, lettura, pianti e sonno, un ciclo unico che non mi permetteva di realizzare, di vedere che i problemi alimentari mi avevano portato via la bellezza e la spensieratezza di vivere le giornate. Non sapevo più cosa volesse dire alzarsi con un sorriso e non pensare a nulla, o pensare essenzialmente ai normali problemi di una normale ragazza.

Ci volle un po’ per capire che almeno una distrazione nelle mie monotone e spaventose giornate poteva alleviare il peso delle mie assordanti paranoie. Ci fu una frase in particolare che mi dissero e mi mise in moto una serie di ragionamenti a favore della mia guarigione. La disse la mia prof, colei che non mi abbandonò neanche per un secondo: alla fine ognuno di noi è alla ricerca di se stesso nei libri che legge, no? Da lì capii che quello che cercavo nei libri era un mistero, un continuo domandarsi se volessi una cosa invece di un’altra e allora presi l’iniziativa di cercare quello che invece potevo essere e che potesse donarmi sensazioni reali e visibili. Indagai a fondo e ciò che mi rapì di alcuni libri fu l’attività costante, vite movimentate e piene di emozioni travolgenti in modo positivo, amori e sorrisi che illuminavano le pagine lette. Attività, la parola che mi rimbombava ormai da settimane, qualcosa che mi tenesse impegnata ma che allo stesso tempo mi facesse stare bene.

Proposi ironicamente a mia madre, entrambe con anni di lezioni di equitazione alle spalle mai andate realmente a frutto, di fare una lezione insieme a cavallo per liberarci un po’ la mente. Detto fatto, il giorno seguente mi ritrovai in un posto quasi dipinto, sembrava il tipico maneggio descritto nei libri: immensi prati verdi con schizzi di colore creatisi da piccoli fiori profumati e nitriti, quello che poi da lì a poco sarebbe diventato il mio suono preferito. Vidi persino delle farfalle svolazzare tra le zampe di quegli animali imponenti ma allo stesso tempo teneri. Proseguendo per la strada di terra e sassi, arrivammo al campo dove ci si esercita. C’erano due ragazze che montavano e a terra c’era la signora più particolare e stravagante che avessi mai visto… sì beh ora mi affido totalmente a lei. Si avvicinò e con un sorriso a trentadue denti ci salutò.

Il mio primo trotto dopo anni, mi sentivo goffa e impacciata, le mie braccia e le mie gambe non lavoravano più armonicamente come una volta. Quel posto mi entrò nel cuore e si prese pian piano tutta la mia attenzione.

Ricominciai equitazione con la pretesa di voler fare solo qualche passeggiata ogni tanto. Inutile dire che, grazie ai meravigliosi ideali e alla sovrastante voglia di trasmettere della mia istruttrice Cristina, mi innamorai perdutamente e cercai di andare a trovarla il più spesso possibile. L’odore del fieno, gli zoccoli che provocano uno schiocco all’incontro con i sassi, i richiami tra cavalli, il profumo di pelle nella stanza delle selle e la morbidezza degli agnellini al solo tatto… non ne avevo mai abbastanza perché quello significava la scomparsa dei miei insopportabili pensieri. Conobbi due ragazze, Chiara, con immensi capelli rossi sempre legati, aveva i modi di fare più teneri che avessi mai visto, sembrava quasi indifesa e fragile alla sola parola ma si rivelò una guerriera nata, aiutava in qualunque modo Cristina. Fu proprio lei ad accompagnarmi a vedere la cavalla che mi insegnò realmente cosa significa montare. Conobbi infine Anna, quella ragazza con le gambe più lunghe delle mie e con gli occhi di color ghiaccio, mi aiutò a sellare per la prima volta il cavallo che dovevo montare. Lei non sembrava interessata, aveva le sue amicizie e poi era a livelli che potevo solo immaginare, con la sua meravigliosa Ginny e i suoi salti altissimi. Anna, lei ora è la spalla su cui appoggiarmi. Non so fare qualcosa? C’è Anna, sono sconfitta, mi sento imbranata? C’è Anna. Ho paura, magari il cavallo lo deve provare prima qualcuno di più esperto? C’è Anna. Ormai l’equitazione faceva parte di me, ogni momento libero era un buon momento per fuggire dalla mia frustrante vita e andare dai cavalli. Mi impegnavo costantemente, non mi veniva qualcosa? Lo facevo di nuovo e se mi riusciva male, lo rifacevo meglio senza mai perdere la concentrazione. Fare passo con le redini lunghe, piedi fuori dalle staffe e ridere con Anna, era il mio momento preferito della giornata, lo avrei fatto e rifatto fino alla nausea. La sensazione che mi faceva sentire realmente viva, che mi faceva ricordare chi fossi era il galoppo, l’aria che accarezza il viso, il fremito del cavallo sotto di me pronto a scattare, le mani che stringono le redini e i piedi che si posizionano nelle staffe. Quello era l’attimo in cui potevo afferrare la mia malattia e lanciarla lontano dove nessuno poteva arrivare.

Smontare da cavallo, tanto brutto quanto bello, dopo la fatica per arrivare dove sei arrivato a fine lezione viene ripagata con il fruscio delle foglie, i capelli che svolazzano e il sole che si riflette sul manto lucido del cavallo mentre bruca l’erba e tu…tu lo ammiri. Accarezzo il suo morbido muso, pettino la criniera sfatta, lo abbraccio per sentire il suo calore e il suo enorme cuore battere, sento la connessione tra di noi, il mio linguaggio del corpo ormai lo sa a memoria.

La cosa inenarrabile di questo sport è proprio la connessione che uomo e animale instaurano, la sensazione che quando fai girare al tondino il cavallo e lui solo con un tuo movimento o un determinato verso sa esattamente cosa fare, o sentire il cavallo agitarsi come conseguenza alla tua paura. Il cavallo agitato raramente mi spaventa. Sono animali più intelligenti di quello che la maggior parte pensa, basta trasmettere loro determinate sensazioni; faccio un respiro profondo e da lì lui può capire che di lui mi fido e lui può fidarsi di me.

Ora le lacrime sono solo di gioia. E ho ricevuto, nella mia vita, l’arrivo più bello ed inaspettato che abbia mai immaginato, Krill, il mio magico cavallo. Ogni volta che varco quel cancello la felicità mi avvolge, so già che il mio amico con la criniera un po’ scompigliata e la sua lunga macchia bianca sul muso è lì ad aspettarmi per darmi la millesima soddisfazione. Il suo arrivo è come girare l’ultima pagina del capitolo più brutto di un libro e iniziare il successivo leggendo “e da lì fu tutta una stupefacente discesa”.

 

Sofia Bomben, 4AAU, Istituto F: Flora, Pordenone.