Grande Giù

Consapevolmente. Prendersi cura di Adolescenti e Giovani adulti in Ematologia

Consapevolmente. Prendersi cura di Adolescenti e Giovani adulti in Ematologia

Ed. Baskerville

Giuliana Gemelli

Un’unica Forza, l’Amore, lega e da vita a infiniti mondi Giordano Bruno

L’essere umano è un’identità complessa composta di elementi in molti casi impossibili da misurare e non visibili, forme di energia sottile e intangibile in cui si intrecciano anima, psiche e corpo.

Questa percezione sempre più diffusa sta penetrando progressivamente anche l’universo scientifico.

Le consuetudini cristallizzate del ragionamento e della costruzione di sistemi che hanno per fondamento la divisione, la parcellizzazione, l’organizzazione del sa- pere per discipline, in un percorso che ha profonda- mente caratterizzato la “nascita della clinica ”nel corso del XIX secolo e la sua cristallizzazione negli ultimi due secoli, stanno entrando in una crisi progressiva e verticale.

Siamo agli albori di un nuovo umanesimo che si sta affermando nelle relazioni interpersonali e attraversa l’umano agire in varie forme e con diverse modalità espressive, che trovano un punto di coagulo nella ricostruzione delle identità individuali e collettive, ormai purificate dalle ipoteche generate dai vari movimenti del secolo passato: il femminismo, le ansie di potere dichiarato “alternativo”, tendenti a contrapporre le comunità a un gruppo ristretto a sostegno dei processi di disidentificazione degli individui.

Un percorso unidirezionale che ha finito per abbracciare, seppure su piani diversi ma con una logica penetrante ed espansiva i paradigmi dello scientismo, che, nel campo medico, si è espresso nella glorificazione dei protocolli, delle strategie di randomizzazione, nella supremazia della strumentazione scientifica che ha spesso assunto un ruolo riduzionistico rispetto alla osservazione e alla assunzione della persona come soggetto di cura.

In questo orizzonte allineato si é cessato di tendere la mano alla vita, compartimentalizzandola e di conseguenza riducendone le potenzialità, per paura, egoismo, irresponsabilità, aprendo la strada all’inquinamento dell’anima che la priva di risorse essenziali, quali la curiosità̀, l’esplorazione non condizionata da regole o protocolli, l’immaginazione e infine, soprattutto, la consapevolezza che orienta ed anima tutti questi aspetti dell’umana esistenza.

Un medico e ricercatore veterinario, il dottor Marco Polettini, ha osservato che “Chi usa il cervello indirizzandolo ad un ramo specialistico rigidamente incanalato tra due binari e – aggiungo io, ancorato al principio lineare di causa ed effetto, dunque ad una temporalità che esclude durata interiore, immaginazione, creatività, compassione, empatia, cioè il percepire l’altro nella sua complessa identità- si sentirà sicuro nel suo sapere ristretto, ma renderà inattivi molti dei suoi neuroni”. Con grave danno della conoscenza ancorata a rigide linee di demarcazione e al radicarsi di tradizioni scientifiche ricevute che spesso derivano dal consolidarsi di primati. Ad esempio quello di Darwin su Lamark che sino a tempi recenti ha di fatto impedito lo sviluppo della riflessione sulla “soft inheritance” (acquisizione di fenotipi attraverso eredità non genetiche). Con qualche eccezione nel passato, ad esempio gli studi di Georges Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire che gettarono le basi di una nuova scienza che, nel ventesimo secolo, avrebbe preso il nome di epigenetica, basata sull’ipotesi che l’ambiente possa influenzare le vie di sviluppo e le rotte evolutive.

Nella biologia e nella ricerca medica si é progressiva- mente affermata una nuova attenzione alla relazionalità tra individuo e ambiente non più secondo schemi lineari ma complessi nell’articolazione gene -ambiente.

Le modificazioni epigenetiche agiscono in punti specifici del DNA sotto l’influenza di precisi segnali, e soprattutto sono molto più facilmente reversibili. I fattori che intervengono in questo scenario possono essere molteplici: il cibo, la temperatura ambientale, ma anche lo stato emotivo; tutto ciò può modulare l’informazione genetica, anche grazie a modifiche epigenetiche.

Sui meccanismi delle modificazioni epigenetiche che avvengono sul DNA e sulle proteine strutturali della cromatina si è concentrato, negli ultimi anni, l’interesse della comunità scientifica internazionale.

Non intendo minimamente entrare nei dettagli di questo dibattito, in quando non ne ho le competenze, se non per rilevare l’assonanza del percorso scientifico col processo di umanizzazione dei percorsi conoscitivi sopra descritto, messo in evidenza con profondità di ana- lisi nei saggi che, in questo volume, trattano tale argo- mento, cogliendone tutte le implicazioni nell’orizzonte delle malattie onco-ematologiche, con particolare riferimento a gruppi di età specifici, gli adolescenti e i giovani adulti. Questo target, con alcune rilevanti eccezioni, costituisce un orizzonte pressoché inesplorato nella ricerca clinica e nella pratica medica, mentre rappresenta, da molti punti di vista, l’ambito principale di rilevanza delle problematiche dell’epigenetica, oltre che, come vedremo, il sinolo della inscindibilità tra cura e prendersi cura, tra prassi medica e bios – la vita nel suo manifestarsi all’essere umano- tra corpo, oggetto della cura e corpo, come susseguirsi di esperienze vissute e fatte proprie dalla mente.

In questo orizzonte olistico e sinergico il corpo non é più un oggetto da analizzare ma é una soggettività incarnata la cui espressività e valenza é tanto più’ forte quando la malattia emerge in fasi di transizione epocale, i percorsi di passaggio verso l’età adulta, verso il pieno dispiegamento della persona, sia dal punto di vista fisico, sia del punto di vista psicologico.

In tale processo tutti i fattori e gli agenti di “evocazione” interna ed esterna che si legano attraverso reti neurali al fenomeno della coscienza hanno una valenza rilevante in termini di esperienza riflessa ed elaborata dalla mente, particolarmente in fasi della vita in cui tale percorso é particolarmente intenso e ricettivo, e cioè l’adolescenza e la giovinezza.

Prendiamo ad esempio la musica.

Come ha osservato l’oncologo Maurizio Grandi: “Sappiamo quali regioni del cervello e quali recettori sono coinvolti quando percepiamo il nostro ambiente come significativo: le strutture della linea mediana del cervello, le stesse coinvolte nell’esperienza legata al significato che si dà a sé stessi”.

Lo stesso vale per le esperienze riflesse nella scrittura, nella elaborazione teatrale del vissuto e più semplicemente nella condivisione verbale del vissuto con chi ci é accanto.

Oggi si parla molto della scoperta del neurone della coscienza o meglio delle sue reti “La coscienza appartiene al cervello nella sede dove essa viene evocata dall’attenzione”.

Questa agisce su aree selezionate della corteccia cerebrale con la conseguente amplificazione delle risposte nenuronali agli stimoli sensitivi afferenti e alla coscienza. Sovrapposto a questo semplice meccanismo che ha come vettore l’attenzione sembrerebbe delinearsi un dialogo continuo fra l’attenzione determinata dall’io e le aree corticali selezionate con i rispettivi stimoli sensitivi afferenti.

A tale proposito il dottor Polettini osserva che “L’ampliamento del sistema nervoso in un sistema più complesso ci indirizza ad una comprensione diversa del nostro organismo e ci permette di formulare una nuova terapia che fornisca energia sottile/informativa capace di inter-reagire con il sistema psico-neuro-endocrino-immunitario. Questa energia, introdotta dalla fisica moderna – in particolare dalla fisica quantistica – è l’energia del radar che direziona la nave verso il porto, è l’energia che spinge il bambino a prendere il bus per andare a scuola, è l’energia del sistema pre-conscio che indirizza l’organismo verso la salute”.

Da alcuni mesi é circolato sul web un testo da molti ritenuto un falso in cui Albert Einstein rivelerebbe alla figlia il significato profondo dell’intreccio tra energia e coscienza. Vero o falso che sia, il testo esprime in profondità le implicazioni del percorso di profonda trasforma- zione degli orizzonti della scienza contemporanea e dunque non esito a riprodurlo nella sua parte più’ esplicativa

“Se invece di E = mc2 – affermerebbe Einstein – accettiamo che l’energia per guarire il mondo può essere ottenuta attraverso l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti. Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo delle altre forze dell’universo, che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento di nutrirci di un altro tipo di energia. Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, se vogliamo trovare un significato alla vita, se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita, l’a- more è l’unica e l’ultima risposta. Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore, un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio, l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta. Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata. Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita”.

Questa citazione vera o falsa che sia, riprende ed estende l’intuizione profonda di un grande filosofo, Wilhem Liebniz, che affermava “Attentio vera gratia est”.

L’attenzione non è il semplice atto dell’ascolto é la partecipazione, l’empatia, il prendersi cura appunto. In tale prospettiva è paradossale e assolutamente inconcepibile che adolescenti e giovani adulti che vivono l’esperienza della malattia e la cui mente è attraversata da reti di esperienza particolarmente complesse e da vissuti ed elaborazioni dei medesimi attraverso la coscienza, altrettanto complessi e talora contraddittori, ma sempre ad alta intensità emotiva, non abbiano ricevuto o abbiano ricevuto scarsa attenzione da parte della ricerca e soprattutto dei percorsi inerenti il “prendersi cura”, in senso olistico, della loro persona.

Tuttora, a parte importanti eccezioni, adolescenti e giovani adulti affetti da patologie onco-ematologiche rap- presentano una sostanziale “terra di nessuno”, sia dal punto di vista della ricerca scientifica, sia sul piano clinico e assistenziale.

Questo “vuoto di attenzione” ha fatto sì che gli indici di sopravvivenza che li riguardano non abbiano regi- strato significativi miglioramenti rispetto a quelli ottenuti in età pediatrica e in età adulta e nei confronti degli anziani.

Ciò è dovuto soprattutto alla divisione di competenze in rapporto alle fasce di età e all’assenza di strutture appropriate che caratterizza il sistema sanitario dipartimentale, strutturato in reparti pediatrici e reparti dell’adulto che non comunicano o raramente risultano comunicanti tra loro.

Nel caso degli adolescenti e dei giovani adulti, con maggiore rilevanza rispetto ai pazienti adulti ed anziani, la “cura” (intesa come somministrazione di trattamenti farmacologici che permettano un miglioramento degli indici di sopravvivenza) è inscindibile dal “prendersi cura” (care) della persona in senso olistico.

La malattia ha un’origine ma non irrompe nella sequenza temporale secondo una linea di causa ed effetto non é un evento lineare anche se segna nell’esistenza dell’individuo un prima e un dopo. La medicina come cura segue una rappresentazione del tempo che é line- are, dalla diagnosi al protocollo, alla sua applicazione, alla verifica degli effetti della cura prescelta. Le dinamiche del prendersi cura esulano da questo schema sequenziale. Hanno a che vedere con la persona nella sua tota- lità e nella sua unicità.

I giovani attraversano una fase della vita assoluta- mente “speciale”, caratterizzata da un processo evolutivo proiettato interamente verso la dimensione del futuro che viene ostacolato, interrotto e reso incerto dall’insorgere della malattia, dalle terapie oncologiche e dai loro effetti spesso devastanti, col conseguente sradicamento dei giovani dal loro contesto di vita, caratterizzato da un dinamismo crescente, costringendoli a ripetuti ricoveri in ospedale, all’isolamento, alla debilitazione fisica e morale.

Tutto ciò li porta alla perdita o al repentino azzera- mento di tappe evolutive importanti, come il confronto costante coi propri coetanei, il raggiungimento di una progressiva indipendenza, la costruzione di una propria individualità, la possibilità di elaborare progetti, di guardare con serenità al futuro.

Questi aspetti “di vita” raramente vengono tenuti in considerazione nella pratica clinica quotidiana e nel modo in cui funzionano e sono organizzate le istituzioni ospedaliere, provocando un forte senso di disadatta- mento nel giovane paziente.

Oggi questo orientamento sta cambiando grazie alla creazione di aree dedicate ai giovani nelle cliniche specializzate, in Italia esistono due percorsi molto avanzati e consolidati non solo dal punto istituzionale ma anche da quello del dibattito scientifico: quello dell’Area Giovani del CRO, presso l’ospedale di Aviano, diretto dal professor Maurizio Mascarin e quello del programma giovani realizzato dal Professor Andrea Ferrari presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.1 Ad essi si aggiunge ora la recente creazione a Bologna di un programma per i giovani adulti denominato GWeb e GLab diretto dalla dottoressa Cinzia Pellegrini presso l’istituto Lorenzo ed Ariosto Seràgnoli del Policlinico Sant’Orsola e di cui il lettore troverà un’ampia descrizione nelle pagine che seguono l’introduzione a questo libro.

Puo’ sembrare paradossale ma é la fiction televisiva e cinematografica, in particolare il serial di grande successo, Braccialetti Rossi, che ha attirato l’attenzione del grande pubblico su queste problematiche, ma il percorso è ancora molto lungo: delicatissimo e complesso.

Il volume, con i suoi contributi diversificati, vuole essere di fatto lo strumento di riflessione che accompagna questo percorso operativo, uno strumento critico ed esplorativo, utile per chi opera all’interno dei programmi già in essere, ma anche per tutti coloro che percepiscono la “cittadinanza scientifica” come uno strumento indispensabile alla nostra società, soprattutto quando si tratta del prendersi cura delle persone e in particolare delle giovani persone.

A questo percorso riflessivo, che ambisce ad essere un arricchimento nella crescita della “consapevolezza” rispetto a queste problematiche, hanno contribuito an- che una serie di conferenze che la curatrice ha potuto realizzare nel quadro del programma ISA Topics dell’Ateneo bolognese in un’ottica fortemente interdisciplinare, a carattere medico, antropologico spirituale e filosofico e di testimonianze vissute.

L’intento non è stato meramente teorico; si é trattato piuttosto di una ricerca-azione che ha al centro – nel si- nolo che unisce cura e prendersi cura – l’attenzione alla qualità di vita, al “benessere” fisico e spirituale dei giovani pazienti, favorendo l’attuazione di attività e iniziative che fanno sì che la vita entri a pieno titolo dentro i re- parti d’ospedale e si costituisca una nuova comunità terapeutica, centrata sulla condivisione di un percorso comune: la consapevolezza.

La consapevolezza è una condizione in cui la cognizione dell’esperienza diventa un percorso interiore, profondo, olistico in quanto assimilato alla persona, nel suo essere unica, indivisibile.

La consapevolezza non si può insegnare, né apprendere come si apprendono nozioni o informazioni, é un approccio unico ed originale che fonda e si fonda sull’identità e permette di affrontare le esperienze senza esserne travolti o sopraffatti.

Chi è consapevole non subisce ma può affrontare e rielaborare.

Consapevolezze condivise rendono possibile un agire comune.

Questi sono gli argomenti che, da vari punti di vista, si pongono alla base dell’intreccio delle diverse narra- zioni, tutte centrate seppure da diversi punti di osserva- zione sulla malattia, intensa non più come vincolo ineludibile per la persona, ma anche come un’opportunità di crescita in termini di consapevolezza del proprio esserci, della propria identità in evoluzione.

Affrontare e rielaborare ma anche condividere: si tratta di percorsi inscindibili come inscindibile é l’approccio della cura da quello del prendersi cura. Un in- treccio complesso che spesso, come si è detto, si fonda su incomprensioni, discrasie, logiche non sovrapponibili e sostanzialmente su universi di riferimento cognitivi non ancora assimilati come dimostrano molti dei contributi a questo volume o che si suppongono assimilabili ma, per le ragioni suddette, non lo sono realmente, per un motivo molto semplice enunciato con chiarezza da Albert Einstein: “Non si risolvono i problemi con le stesse categorie che li hanno generati”.

Il problema dell’intreccio tra cura e prendersi cura é legato principalmente alla discrasia che caratterizza e che di fatto separa i due approcci – talora anche se si dichiara, a parole, che essi sono inscindibili- nella percezione cognitiva del tempo: la malattia ha un’origine ma non irrompe nella sequenza temporale secondo una linea di causa ed effetto, non é un evento lineare anche se segna nell’esistenza dell’individuo un prima e un dopo.

La medicina come cura segue una rappresentazione del tempo che é lineare, dalla diagnosi al protocollo alla sua applicazione, alla verifica degli effetti della cura prescelta.

Le dinamiche del prendersi cura esulano da questo schema sequenziale.

Hanno a che vedere con la persona nella sua totalità e nella sua unicità e toccano intrinsecamente il problema della conoscenza derivata non dalla informazione o dall’apprendimento ma dall’attentio.